Descrizione
Una annuale festa paesana, vissuta in civica obbedienza alle misure di contenimento del Covid-19, dà il là ad un intarsio di riflessioni, liberate dalla solitudine delle quarantene.
L’inatteso confronto con se stessi, dimensionati da luci ed ombre radicate; il dubbio sulla voce di una chiesa in cerca d’un linguaggio in equilibrio di tensioni, diuturnamente contesa tra gli idiomi degli Uomini e gli accenti d’Evangelo; la nostalgia di rapporti troppo a lungo disattesi si offrono come materia per un dialogo senza barricate, come pretesto per palesare il desiderio d’un incontro umano e come bussola per orientare il progredire d’un cammino tra donne e uomini riconosciuti compagni dell’unico viaggio, in una relazione nella quale si è, a turno, maestro e discepolo.
Redatti, in parte, su richiesta di una comunità per celebrare una festa civile e religiosa e stesi di getto ex abundantia cordis a personale utilizzo per altre parti, queste riflessioni si sono via via alimentate di speranza: virtù vitale quando si schiude alle relazioni, protendendosi ad un orizzonte comune in grado di autenticare la memoria, sottraendola alla retorica. Di generi tra loro disuguali, i pensieri qui raccolti non vogliono conchiudersi in confini definitori. Rischiano così l’uscita, esponendosi ai risvolti della condivisione, nel ritmo di una canzone aperta.
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