Descrizione
È il 12 maggio dell’anno 592, Basilica di san Pancrazio, Roma. Il papa Gregorio I vi convoca il popolo perché da quel luogo ricevesse testimonianza del vero amore cristiano. Viene proclamato il brano evangelico di Giovanni 15, 12-16. «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi». È al commento di questo versetto 15 che Gregorio pronuncia le parole: «Amor ipse notitia est», «lo stesso amore diventa conoscenza» (In Eu. II, 27, 4).
«La formula che intesta l’analisi e la sintesi di questo imponente lavoro di Stefano Paba sintetizza per così dire l’apporto della teologia cristiana alla riflessione antropologica “post-moderna” sulla struttura antropologica della sintesi fra habitus e actus, affezione e riconoscimento del bene. Questo apporto è cercato alle sorgenti della tradizione propriamente teologica della forma virtutum, che è la dottrina di Gregorio Magno, nell’intento di illuminare la portata sistematica della notitia amoris. L’Autore, naturalmente, è molto studiato: la letteratura a riguardo del suo pensiero, e in specie della sua teologia pastorale e della sua antropologia morale, è vastissima. L’approccio di Paba, tuttavia, riesce ad individuare un lato relativamente trascurato o poco frequentato: l’integrazione di conoscenza e amore, in Gregorio Magno, è anticipata – e in certo modo fondata – proprio sull’habitus virtuoso la carità teologale infonde alla fede: e di qui, all’actus umano. La connessione, dunque, non va intesa anzitutto come effetto di una sintesi teorica o di una sinergia pratica del sapere, dal quale in un secondo momento risulterebbe la disposizione virtuosa dell’agire. Piuttosto, l’assimilazione di amor (come dono soprannaturale dello Spirito e forma virtutis della fede, consente di inquadrare correttamente il modo in cui amor rischiara la verità dell’essere e rende possibile la giustizia dell’agire. Esso stesso, infatti, è argomento e motivo del sapere del bene: rivelazione e sapienza esso stesso, non mera pulsione o pura emozione» (dalla Prefazione di Pierangelo Sequeri).
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