“A caccia di Dio”
ovvero del senso ultimo e universale della vita
di David Cantagalli
In un tempo non troppo remoto Dio si mostrava all’uomo con una certa frequenza per mezzo di segni e di “tracce” disseminate nella vita delle persone. Era difficile non fare i conti con una verità che veniva trasmessa attraverso molti canali. Dio pregnava la vita con una sua presenza costante ed evidente e rinvenirne le tracce era normale. Egli mostrava la bellezza del suo volto in vari modi e l’uomo ne rimaneva sorpreso, ammirato, trattenendo nel suo cuore una meraviglia che rigenerava la sua esistenza.
La necessità di vedere Dio o di avere una conferma concreta che esiste davvero non è un fenomeno proprio del Cristianesimo. Nelle religioni pagane gli dèi assumevano la forma e la forza dei fenomeni naturali, di eventi straordinari.
L’uomo per sua natura si rapporta con la realtà che lo circonda per mezzo dei sensi che gli permettono di dare un peso e una consistenza alla realtà che lo circonda. È incline alla sua natura quindi che egli voglia “vedere” Dio.
Questo senso e bisogno del sacro ha sempre avuto nell’uomo una valenza spirituale ed una razionale; togliere l’uno o l’altro elemento significa amputare la naturale tensione umana verso il soprannaturale e sconfinare nella magia o nell’esoterismo per un verso, o nel razionalismo nell’altro. Questa tensione trova dunque la sua naturale armonia in una dimensione sia spirituale, che razionale.
Ciò diviene ancora più vero e concreto con l’avvento della religione ebraica e poi del Cristianesimo.
Il Dio dell’Antico Testamento non abita in una dimensione incommensurabile e sconosciuta (il cielo e la montagna sacra) ma si mostra all’uomo attraverso i fenomeni naturali (il fuoco, la nube); accompagna con una presenza costante e rassicurante il camino del suo popolo verso la terra promessa. Dio non si può vedere, nessuno l’ha mai visto, ma è presente e percepibile, la sua esistenza è provata da un’esperienza sensibile.
Nel Cristianesimo poi il logos si fa carne e il volto di Dio finalmente si mostra all’uomo. Una progressione che culmina con la soddisfazione piena del bisogno umano di vedere Dio. La meraviglia che prova l’uomo quando si pone davanti all’universo come ad un Tutto, chiedendosi quale ne sia l’origine e il fondamento, trova una risposta concreta in uomo vissuto 2018 anni fa.
L’epoca moderna ha decretato la morte di Dio seppellendolo e sancendo che egli è diventato terra, il suo corpo si è dissolto come quello di ciascuno di noi dopo la morte e con questa sentenza ha ridotto in polvere quella risposta concentrata nella carne di un uomo chiamato Gesù, il figlio di Dio. Un’implosione che ha cancellato tutto. L’origine dell’universo è il caos e la vita dell’uomo non ha più alcun significato se non quello di una pienezza concessa dalle emozioni, da un effimero che obbliga ad una sola scelta: nutrirsi di esse sino alla fine. Nessuna verità, nessuna bellezza, nessun significato può giustificare e assecondare la vita dell’uomo. La linfa vitale dell’esistenza è la discontinuità e la ricerca incessante di esperienze emotive, nessuna verità (eccetto quella scientica) e bellezza assoluta. Il volto di Dio è diventato irriconoscibile, il suo corpo decomposto.
Quelle tracce che un tempo erano disseminate copiosamente da Dio nella nostra vita, oggi sono divenute rare e irriconoscibili all’occhio disattento e al cuore distratto. Quasi occorre riesumare l’esperienza dell’ars venandi, della caccia per scoprire le tracce di Dio. Dio come una “preda” agognata difficile da vedere e da rintracciare nella selva della vita: è stata questa l’intuizione che mi ha mosso a lanciare la sfida di una nuova Collana di classici, di testi capaci di raccontare e trasmettere il pensiero e la vita di “cacciatori di Dio” e per quanto possibile tornare a invitare l’uomo a cercare Dio, a risvegliare nel suo cuore e nella sua mente il bisogno di vederlo.
Questa nuova serie rilancia la sfida di quasi un secolo fa, quando mio nonno, Ezio Cantagalli, animato da un’ardente fede e dalla passione di annunciare il messaggio cristiano e divulgare la cultura cattolica, raccolse intorno a sé un gruppo di amici e collaboratori con i quali condivideva un interesse profondo per i cambiamenti sociali del suo tempo e si dedicò al compito di diffondere testi fondamentali dei Padri della Chiesa, dei grandi santi e degli scrittori cattolici, fino ad allora inaccessibili alla maggior parte del pubblico. Nacque così la Collana dei Classici Cristiani (1925).
I tempi – come si dice – sono cambiati: non c’è penuria di testi e lo stesso libro di carta è per certi versi obsoleto. Eppure oggi la nuova Collana “A caccia di Dio”, con testi dello stesso rigore e fruibilità dei Classici Cristiani, raccoglie e rilancia nuovamente quella sfida: intercettare il bisogno di Dio dell’uomo contemporaneo, far risuonare in lui la corda troppo spesso tacitata della sua ragione insoddisfatta, del suo cuore inquieto. Quest’uomo è (magari inconsapevolmente) «a caccia di Dio»; i testi di questa Collana vorrebbero condurlo all’istante in cui resta per un attimo bloccato in attesa, come un setter che abbia fiutato una beccaccia, e poi accompagnarlo nella ricerca di quella preda che vale ogni fatica.
Confesso che l’idea di questa Collana nasce dalla mia ormai veterana esperienza di cacciatore di beccacce, dal fascino che tale forma di caccia da sempre ha suscitato nel mio cuore e nella mia mente. Fascino che ha ricevuto un significato del tutto particolare grazie a Brino, uno stupendo setter inglese, che nell’eleganza e nella bellezza con cui fermava la beccaccia mi ha fatto intuire quello che non riuscivo a comprendere fino in fondo. La sua posa immobile, sublime rimandava a quell’atteggiamento umano proprio della conversione, della meraviglia che nasce da un’intuizione concreta. Che cosa sentiva Brino, pur non vedendo, che io invece non riuscivo come lui a sentire e a vedere, ma di cui era certa la presenza? Come nasce la certezza che qualcosa esiste pur essendo invisibile? Come può tutto ciò non essere frutto di immaginazione ma di un’esperienza sensibile e reale. Riuscite a immaginare quello che prova un uomo di fronte ad un’esperienza simile? Una condizione di incertezza assoluta ove in qualsiasi momento è possibile che accada ciò che è certo. Non è forse questo che accade all’uomo che trova le tracce di Dio e che, intuendone la presenza, rimane come bloccato? Dio non si può vedere, Cristo suo figlio sì, si è fatto uomo. Il verbo si è fatto carne e come carne si è reso visibile; non può essere diversamente. Il Cristianesimo non può prescindere da questa esperienza. La fede nasce scoprendo dei segni, delle tracce, nasce da un riflesso della bellezza divina, dallo stringere mani e abbracci, dalla comunione e dall’amicizia che lega le persone in cerca di Dio. Dai segni e dalle esperienze sensibili si intuisce che Dio esiste e che è ancora possibile vederlo.
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